Tunnel carpale

La sindrome del tunnel carpale è una patologia più diffusa di quanto si pensi.

La sua sintomatologia è facilmente riconoscibile e sono diverse le strategie di trattamento a cui è possibile ricorrere.

Quella del tunnel carpale è una patologia che causa dolore e formicolio alla mano e che si sviluppa con un’incidenza maggiore tra i soggetti con un’età superiore ai 40 o ai 45 anni, che abbiano specifiche abitudini. 

In sostanza, si tratta di una neuropatia, in quanto si caratterizza per la compressione di un nervo, la quale può derivare da diverse cause.

Tuttavia, pur essendoci diverse e molteplici cause scatenanti la sindrome del tunnel carpale, allo stesso tempo i sintomi del tunnel carpale sono facilmente individuabili e riconducibili ad un quadro clinico proprio di questa sindrome.

Tunnel carpale cos’è 

Per capire in cosa consiste specificamente la patologia in questione, è importante iniziare con l’anatomia del tunnel carpale.

Quando si parla di tunnel carpale, infatti, si fa riferimento proprio ad una sorta di tunnel, costituito da un arco che si trova tra il polso e il palmo della mano.

All’interno del tunnel così formato, passano nove tendini e un nervo, che prende il nome di nervo mediano e che parte dalla zona dell’ascella, fino ad arrivare a diramarsi nelle dita della mano, tranne che nel mignolo e in metà del dito anulare.

Il nervo mediano svolge una duplice funzione: una di tipo sensitivo, in quanto permette alle dita di avere sensibilità al tatto; una di tipo motorio, in quanto consente il movimento delle dita.

Lo spazio interno del tunnel in cui passano i tendini e il nervo mediano ha dimensioni ridotte, per cui può verificarsi la compressione del nervo mediano con conseguente infiammazione tunnel carpale, nel caso in cui vi sia un’alterazione anche minima, che può cambiarne la struttura.

Questa alterazione può avvenire anche per un periodo temporaneo, come nel caso in cui si verifichi nella donna durante i mesi di gravidanza, quando la ritenzione idrica contribuisce alla riduzione dello spazio interno al tunnel carpale e alla compressione del nervo mediano.

Sindrome del tunnel carpale cos’è

Una volta capita la struttura del tunnel carpale, è possibile guardare più da vicino la sindrome ad essa associata.

Come accennato in precedenza, la sindrome del tunnel carpale si verifica quando il nervo mediano subisce una compressione, la quale può verificarsi in seguito ad un aumento della pressione all’interno del tunnel carpale. 

Tale pressione può essere causata da una serie di fattori diversi, i quali possono verificarsi anche più di uno nello stesso momento.

In sostanza, quando lo spazio carpale non è sufficiente, si verifica un aumento della tensione e della compressione del nervo mediano. 

Tale fenomeno comporta una diminuzione del flusso sanguigno e, di conseguenza, si assiste ad una considerevole limitazione della conduzione nervosa.

In queste condizioni, il nervo non è più in grado di svolgere le proprie specifiche funzioni di movimento e di sensibilità della mano, per cui iniziano a scatenarsi una serie di sintomi.

Tunnel carpale sintomatologia

In genere, questa patologia può interessare tutti i soggetti, anche se investe con maggiore frequenza le donne e le persone con un’età superiore ai 40 anni.

Il primo sintomo della sindrome del tunnel carpale è il dolore, che può essere avvertito come un dolore al polso forte e sotto forma di diffusi dolori alle mani.

In seguito ad esso, può affiancarsi la comparsa in forma graduale di altri sintomi, che diventano sempre più intensi con il progredire dell’infiammazione.

Infatti, il dolore che viene avvertito all’inizio come localizzato nella zona del polso e del palmo della mano, in seguito va ad estendersi lungo tutto la mano.

In casi più rari, inoltre, può raggiungere l’avambraccio e arrivare ad irradiarsi nella zona della spalla.

Oltre al dolore, il paziente avverte una sensazione fastidiosa di formicolio alle dita e di intorpidimento, soprattutto concentrato nelle prime tre dita della mano.

Inoltre, man mano che la sindrome avanza, il paziente può sperimentare anche una anomala alterazione della sensibilità e della forza della mano e dell’arto coinvolto, fino ad arrivarsi, in un momento successivo e nei casi più gravi e compromessi, all’insorgenza di un senso generalizzato di debolezza, diffuso in tutta la mano.

In questo caso, al paziente risulta difficoltoso anche il compimento di semplici azioni, con la caduta ripetuta degli oggetti dalla mano, a causa della scarsa presa.

In altri casi ancora, il paziente riferisce di avvertire un dolore più intenso e forte durante le ore notturne, con conseguente alterazione anche del sonno, soprattutto nella fase iniziale di addormentamento.

In presenza di tutti questi sintomi, la prima reazione del soggetto è quella di alleviare il fastidio scuotendo la mano e muovendola.

Sindrome del tunnel carpale cause e fattori scatenanti

La sindrome di cui si parla può avere cause di varia natura, le quali possono anche sovrapporsi tra loro, comparendo nello stesso momento o in momenti successivi.

Per curare questa forma di neuropatia, è fondamentale individuare e conoscere le cause alla sua origine.

Nel corso dell’esame e dello studio della sindrome del tunnel carpale, si sono evidenziate diverse cause, quali:

  • cause di natura ereditaria: pur non essendo ancora stata dimostrata l’ereditarietà della patologia, si è potuta osservare la presenza della stessa in una medesima famiglia, per cui sembra possibile parlare di una predisposizione, se non di una ereditarietà vera e propria;
  • predisposizione anatomica, in quanto si verifica con maggiore possibilità nei soggetti che presentino un tunnel carpale molto stretto; tuttavia, non è una regola sempre valida, in quanto soggetti che hanno un tunnel carpale stretto non sempre presentano i sintomi di questa sindrome;
  • gravidanza, durante la quale si verifica una considerevole ritenzione idrica, che causa gonfiore generalizzato; infatti, sono molte le donne incinte che riferiscono i sintomi del tunnel carpale, soprattutto negli ultimi mesi di gestazione; senza dubbio, si tratta di una condizione momentanea, che tende a risolversi in modo spontaneo in seguito al parto, per cui non è necessario ricorrere a terapie drastiche, se non allo scopo di alleviare un po’ del dolore avvertito;
  • presenza di altre patologie, come insufficienza renale, artrite reumatoide, obesità, diabete o ipotiroidisimo, che vanno ad incidere sulla regolazione degli ormoni e portano a generare maggiore ritenzione idrica, la quale è causa di gonfiore e di una conseguente diminuzione dello spazio interno al tunnel carpale; in questo caso, la cura dovrà incidere sulla cura della patologie scatenante, piuttosto che sul tunnel carpale in sé;
  • presenza di traumi o di fratture: in seguito ad eventi traumatici o a fratture ossee, l’anatomia del polso può essere soggetta a modificazioni più o meno sensibili, che vanno a compromettere e a comprimere il nervo mediano, riducendo lo spazio a sua disposizione;
  • movimenti ripetitivi del polso o della mano: si tratta di una condizione che può svilupparsi con maggiore facilità soprattutto in quelle persone che suonano uno strumento musicale, che trascorrono molte ore al giorno utilizzando il PC e il mouse o che, per lavoro, utilizzano strumenti che emettono vibrazioni.

Sindrome del tunnel carpale: diagnosi

Se si avvertono sintomi riconducibili ad un’infiammazione del tunnel carpale e si sospetta la presenza di tale patologia, gli specialisti a cui rivolgersi per sottoporsi ad un esame e avere una diagnosi corretta sono l’ortopedico chirurgo della mano, il fisiatra o il fisioterapista.

Data la vasta gamma di cause che possono portare a questa patologia, è fondamentale fare una diagnosi corretta, così da impostare un programma di trattamento adeguato e curare i relativi sintomi.

Per curare la sindrome del tunne carpale, dunque, si deve riconoscere in primis la patologia, ma, più importante di tutto, si deve indagare su quali siano le cause concrete.

Nella maggior parte dei casi posti ad esame di uno specialista, è sufficiente procedere ad un esame obiettivo e ad una valutazione attenta dei relativi sintomi.

In base a questo, fisioterapista, fisiatra, chirurgo della mano o ortopedico procedono ad un’anamnesi, valutando la storia del paziente e stabilendo un quadro clinico, dopo aver eseguito un esame fisico.

Per individuare la sindrome e distinguerla da altre patologie, esistono una serie di test da eseguire, come la manovra di Phalen e Tine, il test di elevazione e il test di compressione.

In sostanza, si tratta di semplici test di posizione e di movimento, che il professionista può decidere di eseguire, dando istruzioni al paziente sui movimenti da svolgere e senza l’utilizzo di una strumentazione particolare.

Nel caso in cui, in seguito alla valutazione del professionista, dovessero esserci ancora dubbi sulla diagnosi o prima di procedere con eventuali interventi tunnel carpale, è possibile che il medico richieda al paziente di sottoporsi ad un esame specifico.

L’esame a cui si ricorre per una diagnosi di sindrome di tunnel è l’elettromiografia, anche se, in alcuni casi, i raggi X, la risonanza magnetica e l’ecografia possono contribuire a chiarire la provenienza e la causa all’origine della compressione del nervo.

Una volta eseguita la diagnosi e accertata la presenza della sindrome del tunnel carpale, il medico specialista imposta il programma per iniziare il trattamento di cura della patologia in atto.

Tunnel carpale rimedi

Per curare la sindrome del tunnel carpale, è possibile optare per due diverse strade, quali il trattamento fisioterapico e il trattamento chirurgico.

In genere, quando si è dinanzi ad una patologia lieve o moderata, il trattamento che viene attuato è di tipo conservativo e prevede un percorso di fisioterapia come prima opzione. 

Il fisioterapista utilizza un approccio multimodale per il trattamento della sindrome in questione. 

In primis, quando la patologia è in una fase acuta, può scegliere di intervenire attraverso la laserterapia, la quale mira a ridurre il dolore e l’infiammazione. 

Con dei trattamenti di terapia manuale può lavorare sulla mobilizzazione delle ossa carpali e dei tessuti molli miofasciali: in questo modo, pura ad agevolare lo scorrimento dei tendini e dei nervi. 

Allo stesso scopo punta anche l’applicazione del kinesio taping, ossia delle fasce adesive, che contribuiscono a migliorare lo spazio all’interno del tunnel carpale.

In seguito, il fisioterapista insieme al paziente cercherà di individuare le possibili modifiche da apportare alle abitudini lavorative, nel caso in cui vi siano queste all’origine della patologia.

Allo stesso tempo, viene predisposto un piano di esercizi che il paziente può eseguire anche da solo a casa e che mira a ridurre la sintomatologia dolorosa.

La terapia conservativa prevede anche il ricorso alle infiltrazioni o all’assunzione di farmaci per via orale, i quali, pur non essendo risolutivi, di certo sono efficaci nel breve termine.

Nel caso in cui il trattamento conservativo non dovesse portare i risultati sperati e dovesse rivelarsi inefficace, è possibile che il professionista consigli di ricorrere all’intervento chirurgico.

Lo stesso avviene nel caso in cui il quadro clinico appaia complesso fin da subito o nel caso in cui vi siano recidive.

Per quanto riguarda l’opzione chirurgica, l’intervento per la sindrome del tunnel carpale prevedere il taglio della fascia dei tessuti al cui interno sono racchiusi il nervo mediano e i nove tendini.

L’intervento è poco invasivo e viene svolto con semplicità dal chirurgo e, in seguito ad esso, il rischio di recidiva è davvero molto basso.

Tuttavia, questo rischio di recidiva è addirittura minimo se viene fatta un’adeguata riabilitazione in seguito all’intervento, in modo da consolidare la buona riuscita dello stesso.

Sindrome del tunnel carpale: consigli per la prevenzione

Purtroppo, non è possibile effettuare una prevenzione in senso assoluto della sindrome del tunnel carpale, in quanto, come già detto, si tratta di una patologia che può derivare da numerose e differenti cause. 

Tuttavia, è possibile adottare una serie di accorgimenti, nel caso in cui si sia costretti a svolgere movimenti ripetitivi, che possono contribuire in modo considerevole al rischio di sviluppare questa patologia.

Ad esempio, a coloro che utilizzano strumenti vibranti, è possibile consigliare di concentrarsi in modo da ridurre la forza nella mano e di imbottire l’impugnatura, per rendere la presa più confortevole e lo strumento più maneggevole.

Per quanto riguarda coloro che lavorano molte ore con PC e mouse, invece, può essere utile imparare a controllare e a gestire la postura, appoggiando l’avambraccio alla scrivania o utilizzando un mouse ergonomico, che permette di ridurre la pressione sul polso.

Inoltre, il consiglio fondamentale è quello di rivolgervi immediatamente ad uno specialista già dai primi sintomi di tunnel carpale, così da intervenire in modo tempestivo e da scongiurare il rischio di dover ricorrere all’intervento chirurgico.

Fibromialgia: sintomi e cura

La fibromialgia è una patologia che colpisce con maggiore frequenza le donne in età adulta e che, in genere, compare in modo graduale, andando ad aggravarsi nel tempo.

Tuttavia, esistono casi in cui tale disturbo compare in seguito ad un evento scatenante, quale un’infezione, un forte stress o un trauma fisico.

Prima di vederne i sintomi, le cause e le possibili cure, è importante capire cos’è la fibromialgia.

In sostanza, come indica il nome stesso, la sindrome fibromialgica consiste in una forma di dolore avvertito nei muscoli e all’interno delle strutture di legamenti e tendini, comportando dolore muscoloscheletrico diffuso e una sensazione di affaticamento.

Di solito, ad un primo esame obiettivo, il paziente può apparire sano, ma, procedendo in modo più attento, si evidenza la presenza di zone più dolenti, dette aree algogene o tender points.

Fibromialgia sintomi  

Il primo sintomo della fibromialgia è rappresentato dal dolore, che tende a comparire in una sede specifica, come spalle o rachide cervicale, per poi diffondersi in tutto il corpo, in particolare nei muscoli.

La sintomatologia prevede anche sensazione di bruciore, contrattura, rigidità muscolare e affaticamento, che possono variare di intensità in base al momento della giornata, all’attività svolta, alle condizioni atmosferiche e allo stress.

Un altro sintomo caratteristico della fibromialgia è l’astenia, associata a disturbi del sonno.

L’astenia può essere moderata o grave e consiste in un affaticamento e in una stanchezza diffusa, che, in alcuni casi, diventa anche predominante rispetto al dolore.

Per quanto riguarda i disturbi del sonno, pur non avendo difficoltà ad addormentarsi, il paziente affetto da tale sindrome ha una fase profonda del sonno disturbata, con sonno leggero, ripetuti risvegli notturni e apnea notturna.

Alcuni pazienti riferiscono disturbi del sistema nervoso centrale, con cambi d’umore e del pensiero, fino ad arrivare ad una sensazione di depressione e ansia, ma anche di difficoltà di concentrazione e di ragionamento.

Ulteriori sintomi riferiti sono:

  • cefalea muscolotensiva o emicrania;
  • dolori addominali;
  • sindrome del colon irritabile, con alternanza tra stipsi e diarrea;
  • spasmi vescicali;
  • rigidità mattutina al collo e alle spalle;
  • parestesie, con formicolii e sensazione di punture;
  • bruciore durante la minzione;
  • sensazione di gonfiore alle mani;
  • dolori al torace;
  • perdita di memoria.

Fibromialgia cause

Non si conosce con certezza quale sia la causa scatenante della fibromialgia.

Tuttavia, si ritiene che questa derivi dal coinvolgimento di una serie di fattori, di natura biochimica, genetica, neurochimica, ambientale, ormonale, psicologica ecc. 

Pur non essendoci ancora dati scientifici certi in materia, molti ricercatori stanno approfondendo la natura multifattoriale della sindrome in questione, arrivando a ritenere che questa amplifichi le sensazioni dolorose, incidendo sul modo in cui il cervello riceve ed elabora gli stimoli dolorosi.

Inoltre, è stata riscontrata una tendenza della fibromialgia ad insorgere in seguito ad eventi specifici, quali traumi fisici, infezioni, interventi o forti stress.

Fattori che possono favorire l’insorgere, il permanere e l’aggravarsi della fibromialgia sono:

  • stress;
  • carenza di sonno;
  • affaticamento;
  • sindrome premestruale;
  • freddo;
  • cambiamenti meteorologici; 
  • umidità.

Sindrome fibromialgica cura

Per quanto riguarda la cura della patologia, è possibile intervenire attraverso un approccio combinato.

Prima di tutto, si procede con una terapia farmacologica, a base di antidolorifici e di farmaci che aiutino a migliorare la qualità del sonno.

Inoltre, un ruolo fondamentale è svolto dalla fisioterapia, che prevede un percorso con esercizi di stretching e di tipo aerobico, abbinati a tecniche di rilassamento, che aiutino a ridurre la tensione muscolare.

Ancora, si procede con un cambiamento delle abitudini di vita che potrebbero incidere in negativo sulla sintomatologia e con un programma di attività fisica moderata e continuativa.

Un buon esempio di attività fisica sono la camminata, la passeggiata in bicicletta, il nuoto ed esercizi in acqua, aumentando la quantità di attività in modo graduale.

Dolore al petto: cause e rimedi

Il dolore al petto è un disturbo che può presentarsi come sintomo di diverse patologie, delle quali alcune anche molto gravi.

In base alla causa alla loro origine, i dolori al petto possono presentarsi come un dolore acuto o sordo, simile a delle fitte al petto o come un dolore pressante, tanto da dare al paziente la sensazione di un peso sul torace.

Noto anche come dolore toracico, in genere, il dolore al petto si estende in quella zona anatomica che parte dalla base del collo e arriva fino alla regione superiore dell’addome.

Dolore al petto cause

Le patologie che possono essere causa di questo fastidio sono molto varie, tanto da potervi ricomprendere malattie polmonari, cardiache, con sede gastroesofagea, pancreatite, disturbi della cistifellea, costocondrite, fratture delle costole, sindrome di Tietze, infortuni ai muscoli pettorali, infortuni ai muscoli intercostali e infezioni dovute ad herpes zoster, noto anche con il nome di fuoco di Sant’Antonio.

Inoltre, il dolore al petto può essere anche indice di attacchi di ansia o di panico.

Tra le principali malattie del cuore, che scatenano un dolore al petto, vi sono l’infarto del miocardio, l’angina pectoris, la miocardite, la pericardite, le cardiomiopatie e le valvulopatie.

Le patologie polmonari all’origine di un dolore al petto, invece, sono la pleurite, la polmonite, l’embolia polmonare, lo pneumotorace, l’ipertensione polmonare e l’asma.

Per quanto riguarda le patologie gastroesofagee, invece, possono essere causa del disturbo in questione il reflusso gastroesofageo, l’ernia iatale e l’ulcera peptica.

Inoltre, come accennato, fattore scatenante può essere anche la presenza di una pancreatite, ossia un’infiammazione del pancreas, ma anche patologie legate alla cistifellea e alle vie biliari, come i calcoli biliari.

Tuttavia, anche le fratture alle costole e gli infortuni di carattere muscolare, come strappi, contratture o stiramenti, possono essere causa di dolore al petto.

Dolori al petto rimedi

Essendo un disturbo ricollegabile a diverse cause scatenanti, il dolore al petto deve essere trattato in modo diverso, in base alla patologia che gli dà origine.

Ad esempio, se si ha a che fare con malattie del cuore ai primi stadi o con reflusso gastroesofageo, il medico prescriverà al paziente un trattamento farmacologico specifico e gli suggerirà quali cambiamenti adottare nel proprio stile di vita.

Nel caso, invece, di malattie cardiache avanzate, di gravi calcoli biliari o di ipertensione polmonare seria, si prevede l’intervento chirurgico.

Al contrario, quando si individua la presenza di infezioni di origine batterica, come la polmonite batterica, si procede con una terapia farmacologica a base di antibiotici.

Dolori alle gambe: cause e rimedi

Quando si parla di dolori alle gambe, si fa riferimento ad una condizione di disagio e fastidio avvertita in una o in entrambe le gambe.

Tale condizione può manifestarsi sotto forma di un dolore diffuso o come dolore più intenso e localizzato, che viene avvertito come una fitta, un bruciore o un crampo.

In generale, è possibile dire che i dolori alle gambe sono disturbi molto frequenti, ma che possono essere sintomo di problemi molto diversi e che non necessariamente hanno alla propria origine problemi muscolari, in quanto possono derivare anche da cause associate ad altre strutture presenti nelle gambe.

Dolori alle gambe cause

La natura di questo disturbo può essere di diverso genere, anche se in prevalenza si tende ad inquadrarla come un affaticamento o come sintomo di disidratazione, magari dovuta all’assunzione di farmaci particolari.

Tuttavia, le causi di dolore alle gambe possono essere molteplici, quali tendiniti, traumi, stiramenti o vene varicose.

In genere, quando si ha a che fare con gambe doloranti, le patologie associate a questo problema sono individuate in:

  • aterosclerosi;
  • artrite;
  • artrosi;
  • coccigodinia;
  • epifisiolisi;
  • dengue;
  • ernia discale;
  • gotta o pseudogotta;
  • presenza di infezioni;
  • insufficienza renale o insufficienza venosa;
  • malattia di Legg Calvé Perthes;
  • piede diabetico;
  • policitemia vera;
  • tetano;
  • tromboflebite;
  • trombosi venosa profonda;
  • tumori ossei;
  • vene varicose.

Dolori alle gambe rimedi

Per trattare le gambe doloranti, è importante conoscerne la causa, in quanto i rimedi variano in base ad essa.

In particolare, se i dolori derivano da un’attività fisica troppo intensa, si potrà procedere con riposo e crioterapia, ossia l’applicazione di impacchi di ghiaccio sulla zona.

Al contrario, se si tratta, invece, di insufficienza venosa, sarà fondamentale muovere le gambe, tenerle sollevate a riposo e bere molto, così da favorire la circolazione.

Tuttavia, se il dolore alle gambe è conseguenza di un trauma o di una contusione, sarà indispensabile recarsi in ospedale, mentre, se si accusa gonfiore ad entrambe le gambe, vene varicose e dolore ai piedi, la scelta migliore sarà quella di rivolgersi ad un angiologo o ad un flebologo.

Dolori intercostali: una guida avanzata

La presenza di dolori intercostali è molto comune e può derivare da un serie di condizioni.

In sostanza, si tratta di un dolore derivante da lesioni o da danni a carico delle strutture che compongono la gabbia toracica, ma che non coinvolgono gli organi interni, quali cuore e polmoni.

La gabbia toracica, infatti, è una struttura composta da ossa, cartilagine e muscoli, che protegge gli organi interni.

La struttura ossea è composta da vertebre, coste e sterno, che costituiscono il sostegno della gabbia toracica; le coste sono articolate in cartilagine, che va a comporre lo sterno.

Per quanto riguarda la muscolatura, invece, i muscoli sono presenti tra una costa e l’altra e svolgono una serie di funzioni, che consentono la regolare respirazione.

Dolori intercostali cause

Il dolore intercostale può originare da una delle strutture della gabbia toracica, ossia coste, cartilagine costale, muscoli e nervi.

Le cause più diffuse delle fitte intercostali sono individuabili in:

  • stiramenti, crampi e strappi dei muscoli intercostali, che possono essere conseguenza di eventi anche banali, come tosse forte, esercizio fisico intenso, traumi, movimenti di extra rotazione del busto;
  • infiammazione delle cartilagini costali;
  • osteoartrite;
  • frattura o incrinatura costale;
  • neurite e nevralgia intercostale;
  • costocondrite;
  • sindrome di Tietze.

Dolori intercostali sintomi

Questo tipo di dolore può nascere in modo improvviso e scatenare una sintomatologia molto intensa, che però si risolve quasi subito, nella maggior parte dei casi.

Tuttavia, in altre ipotesi, il dolore intercostale può durare più a lungo, soprattutto in quei casi di stiramento o di strappo muscolare.

Quando si verifica un’infiammazione dei nervi intercostali, invece, si parla di neurite, che può derivare da:

  • artrosi;
  • compressione del nervo a livello del midollo spinale da parte di un’ernia discale;
  • traumi;
  • disturbi infettivi o autoimmunitari.

La neurite può manifestarsi con dolore, parestesie o formicolii nella zona in cui vi è il nervo interessato.

Essendo il dolore intercostale riconducibile a diverse problematiche, la sua durata può variare da pochi secondi a più settimane, a seconda della patologia a monte, tanto che questa rappresenta un fattore rilevante in sede di diagnosi.

Dolori intercostali rimedi  

I rimedi utilizzabili per trattare un dolore intercostale vengono scelti dal medico, in base alla sua causa e al tipo di dolore.

Tuttavia, in via generale, è possibile far riferimento a tre indicazioni, valide in ogni caso, ossia:

  • riposo e astensione da attività fisica eccessiva e da movimenti eccessivi della gabbia toracica;
  • terapia farmacologica a base di analgesici e antinfiammatori;
  • sedazione della tosse, ove sia presente.

Problemi posturali

La postura scorretta è un problema molto diffuso, ma troppo spesso sottovalutato.

Tuttavia, la postura scorretta è causa di molti problemi posturali, che vanno dal classico mal di schiena al mal di gambe, passando per i dolori muscolari e cervicali e potendo degenerare anche in artrosi, se nonsi corre in tempo ai ripari.

Dunque, le conseguenze di una postura erronea possono essere davvero vaste e possono manifestarsi come infiammazioni, contratture, difficoltà motorie, irrigidimento, mal di testa, mal di schiena e così via.

Questo tipo di problematica può avere sia natura fisica, derivante da uno squilibrio del corpo, sia natura emotiva, in quanto alcuni stati emotivi, come lo stress, possono condizionare sensibilmente la postura.

Dunque, in presenza di una postura sbagliata, la cosa fondamentale è mirare alla risoluzione del problema per evitare che degeneri ulteriormente.

Inoltre, anche in questo ambito, la prevenzione giova in modo particolare ai giovani e a coloro che tendono a trascorrere molte ore in piedi o seduti.

Postura scorretta cause

problemi posturali causati dal divano

Uno scompenso posturale può derivare da cause specifiche, da traumi o da disturbi che interessano l’articolazione temporo mandibolare, l’equilibrio, la vista.

Un soggetto può essere portato ad assumere una postura sbagliata nel corso del tempo per una serie di fattori, tra i quali:

  • carenze visive;
  • malocclusioni della zona temporo mandibolare;
  • problemi muscolo articolari;
  • disturbi dell’orecchio interno.

Problemi posturali: quali sono?

Una postura sbagliata può avere serie ripercussioni sulla vita di tutti i giorni, condizionando muscolatura, articolazioni e apparato scheletrico.

Il cronicizzarsi dei problemi posturali, poi, può degenerare in patologie vere e proprie, come avviene nel caso dell’artrosi.

Inoltre, da una postura scorretta, possono derivare problemi posturali, quali:

Problemi posturali e metodo Mézières 

Per curare i problemi dovuti alla scorretta postura, è possibile ricorrere ad esercizi posturali specifici che mirano alla rieducazione del paziente.

È il caso del metodo Mézières , che rappresenta uno dei metodi più efficaci per la rieducazione posturale e per la risoluzione dei problemi posturali, inventato da Françoise Mézières a metà del secolo scorso.

Si tratta di una tecnica di riabilitazione individuale ad approccio globale, che permette di ripristinare mobilità, elasticità, lunghezza e benessere dell’apparato muscolo-scheletrico.

Nello specifico, questa tecnica recupera la simmetria del corpo e la funzione di ogni articolazione basandosi sul concetto che postura e funzione di muscoli e articolazioni si influenzino a vicenda.

Di norma, le sedute previste dal metodo Mézières  si tengono una volta a settimana e hanno una durata che va dai 40 ai 60 minuti, in base alle condizioni del paziente.

Ogni seduta inizia con l’osservazione del paziente e viene personalizzata sulle esigenze e sulle caratteristiche specifiche del soggetto.

Il trattamento prevede l’esecuzione di una successione di posture, che vengono proposte dal fisioterapista e che il paziente deve mantenere: in questo modo, si mira ad allungare le catene muscolari.

Le posizioni globali e totali vanno mantenute in modo preciso e per il tempo indicato dal fisioterapista, abbinando la respirazione in modo corretto.

Il lavoro di inspirazione ed espirazione serve per esercitare il diaframma e per contrastare gli scompensi posturali, quali, ad esempio, la lordosi.

In definitiva, dunque, i benefici del metodo Mézières  sono:

  • il miglioramento della postura;
  • la distensione delle fasce muscolari;
  • la regolarizzazione della funzione respiratoria;
  • la riorganizzazione delle catene cinetiche;
  • il ripristino del benessere psico-fisico.

Per saperne ulteriormente puoi acquistare il libro che ho scritto sui disturbi posturali.

Ileopsoas infiammato sintomi

Cos’è il muscolo ileopsoas, quali sono i sintomi dell’ileopsoas infiammato e come si riconoscono: sono questi sono gli interrogativi a cui daremo risposta nel nostro articolo.

Prima di tutto, il muscolo ileopsoas è un gruppo muscolare al quale appartengono il muscolo iliaco e il grande psoas ed è uno dei principali gruppi muscolari del corpo.

Questo muscolo permette di eseguire molte delle azioni quotidiane di ogni persona, come alzarsi o sedersi e, in particolare, praticare attività fisica. In sostanza, senza l’ileopsoas, un soggetto non potrebbe compiere la maggior parte delle azioni di vita quotidiana, senza dimenticare che questo è fondamentale anche per mantenere l’equilibrio del bacino.

I muscoli dell’ileopsoas collegano le gambe e il tronco:

  • il grande psoas è un muscolo a forma di fuso, è di grande dimensione, è situato nella regione lombare laterale e collega la colonna vertebrale con il bacino inferiore;
  • il muscolo iliaco è di dimensioni più piccole, si colloca sull’ala interna dell’osso iliaco e aiuta l’articolazione dell’anca nel movimento di flessione.

Dunque, il gruppo muscolare dell’ileopsoas è situato nella zona lombare e parte dalle facce laterali della dodicesima vertebra toracica per estendersi fino alle prime cinque vertebre lombari.

Questo è collegato al diaframma, per cui partecipa ai processi di respirazione, e ad altri organi, come appendice, colon e reni.

In situazioni di forte stress accumulato, questo muscolo risulta contratto e può essere causa di disturbi, anche di una certa importanza.

Dunque, se il muscolo ileopsoas non funziona bene, possono verificarsi tre circostanze:

  • l’infiammazione del muscolo ileopsoas;
  • il tendine ileopsoas infiammato, quando l’infiammazione colpisce il punto in cui si inserisce l’osso;
  • lavoro scorretto delle articolazioni.

Muscolo ileopsoas infiammato

Come accennato, quando un soggetto è in una situazione di stress eccessivo, il muscolo dell’ileopsoas tende a contrarsi e ad irrigidirsi.

In questi casi, soprattutto se non è correttamente allenato, questa situazione può comportare disturbi anche a carico dei muscoli circostanti, in primis l’infiammazione muscolare.

Ileopsoas infiammato sintomi

L’ileopsoas infiammato degenera in contrattura e può dare origine ad una serie di sintomi.

In primis, il paziente avverte dolore nella zona pelvica, ossia nella regione situata tra osso sacro e iliaco.

Altro sintomo che fa propendere subito per un’infiammazione del muscolo ileopsoas è la lombalgia, quindi un mal di schiena la cui intensità può essere di diversa intensità.

Inoltre, si presenta un dolore inguinale nella parte anteriore, che in molti casi viene interpretato come un sintomo di artrosi.

In generale, si registrano problemi agli organi della zona addominale e, nelle donne, si verifica un ciclo mestruale molto doloroso.

Per finire, si ricorda che il muscolo ileopsoas è collegato al sistema nervoso centrale e da ciò ne consegue che, in presenza di un disturbo muscolare che interessi l’ileopsoas, ne risulterà influenzato tutto il corpo.

In particolar modo, da tale patologia può derivare anche un’alterazione della respirazione e della normale circolazione dei fluidi corporei. Si consigliano esercizi di stretching e un tutore.

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Conflitto femoro-acetabolare: cause e migliori cure

Il conflitto femoro acetabolare è un disturbo che interessa l’anca, causato da un conflitto tra i due capi articolari, ossia tra la testa del femore e l’acetabolo.

Si tratta di una patologia che causa un dolore anche solo di tipo episodico, ma che può essere il segnale dell’inizio di un processo di usura della cartilagine articolare.

Noto anche come FAI, per la sua denominazione anglosassone Femoro-Acetabular Impingement, dunque, il conflitto femoro acetabolare è una malattia dell’anca, che deriva dalla irregolare conformazione dei suoi capi articolari.

Infatti, la testa del femore normale presenta una forma sferica, che non crea frizioni né contatti, anche grazie alla presenza del labbro acetabolare, ossia una guarnizione che circonda il margine osseo libero della tasca acetabolare.

Se testa del femore e acetabolo non sono speculari, allora si crea la sindrome da conflitto femoro acetabolare.

È possibile individuare due tipi di conflitto:

  • il conflitto femoro acetabolare tipo CAM, in cui il collo del femore non ha la sua caratteristica curvatura;
  • il conflitto femoro acetabolare tipo pincer, in cui l’acetabolo avvolge troppo.

L’attrito che si crea può portare ad una rottura della guarnizione, alla lesione della cartilagine o all’usura dell’articolazione e degenerare, quindi, in artrosi.

Infatti, tale sindrome può essere considerata una delle principali cause di artrosi dell’anca.

In genere, si presenta nei giovani adulti e negli sportivi, ma anche nei soggetti più sedentari, nei quali può restare silente per tutta la vita: ciò lo si spiega in quanto i capi articolari deformati urtano tra loro solo quando si superano in modo ripetuto i gradi estremi di movimento o quando le rotazioni ripetute dell’anca causano lassità della capsula articolare, che a sua volta conduce ad un’instabilità, la quale genera frizioni patologiche nell’articolazione.

Conflitto femoro acetabolare osteopatia

Il trattamento osteopatico può essere utile nella riduzione dei sintomi e del dolore e può contribuire a ritardare il degenerare della malattia.

Lo scopo è quello di ristabilire la mobilità alterata e di normalizzare le aree di carico del bacino, riducendo la tensione dei tessuti.

Attraverso il ricorso a tecniche manuali applicate ai casi di artrosi d’anca, l’osteopata ripristina l’equilibrio funzionale dell’articolazione e può ritardare il ricorso all’intervento chirurgico.

Conflitto femoro acetabolare artroscopia

il conflitto tra femore e acetabolo

Questa patologia viene curata in artroscopia, ossia attraverso il ricorso a microtelecamere e a strumenti miniaturizzati.

Tramite questi, il medico è in grado di ricostruire la normale anatomia dei capi articolari, eliminando il conflitto.

Gli strumenti miniaturizzati vengono introdotti nell’articolazione, realizzando due semplici fori nella pelle.

Prima di accedere all’intervento, un ortopedico valuterà se questo sia necessario o meno e lo farà in base alla storia medica, all’esito delle manovre eseguite e dei test specifici per la valutazione dell’anca e del conflitto e ai risultati riportati dagli esami diagnostici, quali le proiezioni AP vera, la Frog leg e il falso profilo, ma anche la risonanza magnetica nucleare semplice o con mezzo di contrasto.

Un test effettuato spesso è il segno dell’impingement, che si esegue piegando l’anca a 90 gradi, ruotandola verso l’interno e portando la coscia in direzione dell’altra anca: se il paziente avverte dolore, allora l’esito del test è positivo.

L’ultimo test eseguito è il lidotest, un esame diagnostico da eseguire in day hospital e che prevede l’iniezione nell’articolazione di un anestetico locale: questo serve per capire se il problema sia di natura articolare o se derivi da altre strutture. Se in seguito all’iniezione il dolore sparisce, anche solo in via temporanea, l’origine del problema è l’anca, per cui si dovrà ricorrere ad un intervento chirurgico.

È consigliabile sottoporre il paziente ad artroscopia in determinati casi, quali:

  • dolore all’anca che non passa con il riposo, i farmaci, la fisioterapia o le infiltrazioni;
  • conflitto femoro acetabolare evidente da radiografia e risonanza;
  • esclusione di altre possibili cause del dolore all’anca;
  • evidenza dalla radiografia di una distanza minima di 2 mm tra la testa del femore e l’acetabolo.

Ritorno a casa e riabilitazione conflitto femoro acetabolare

In seguito all’intervento, sarà fatto in modo da consentirvi un movimento passivo continuo, in particolare per prevenire la rigidità post operatoria del ginocchio, che può verificarsi durante il periodo immediatamente successivo.

In questo modo, si andranno a muovere i muscoli della gamba, così da ridurre il gonfiore delle gambe e da migliorare la circolazione sanguigna.

La ripresa delle normali attività avverrà gradualmente e nei primi tempo avrete bisogno di due stampelle per camminare e potrete avvertire un leggero dolore durante i movimenti.

La convalescenza a casa sarà fondamentale per il pieno recupero dall’intervento, per cui le istruzioni del chirurgo ortopedico andranno seguite in modo attento.

Nella parte anteriore e laterale dell’anca, avrete due o tre punti di sutura, che saranno rimossi dopo circa 10 giorni, durante i quali le ferite non andranno immerse in acqua.

Per quanto riguarda l’attività fisica, nelle prime settimane dopo l’intervento, dovrete riprendere gradualmente le attività quotidiane entro 15/18 giorni, nonostante qualche dolore durante il movimento.

La riabilitazione domestica deve prevedere un programma di deambulazione prima in casa e poi fuori, così da aumentare la mobilità in modo graduale.

Inoltre, andrà prestata attenzione alle attività regolari, quali alzarsi, sedersi e salire e scendere la scale.

Nei primi giorni dopo l’intervento, può essere utile applicare il ghiaccio per circa 20 minuti ogni ora, per ridurre il dolore e il gonfiore.

Il ghiaccio non vai mai tenuto a contatto diretto con la pelle, per cui si consiglia di utilizzare sempre un panno dentro cui avvolgere la sacca di ghiaccio.

Conflitto femoro acetabolare fisioterapia

Altro step fondamentale nella fase di recupero sono gli esercizi di fisioterapia da svolgere con l’assistenza di un fisioterapista in casa o recandovi in un centro di riabilitazione e da soli, senza aiuto.

Un percorso di fisioterapia eseguito in modo scorretto può ritardare i tempi di recupero e pregiudicare i risultati dell’intervento, per cui è bene attenersi alle indicazioni del fisioterapista.

La maggior parte dei pazienti può iniziare la fisioterapia già subito dopo l’intervento, per questo motivo sarà necessario pianificarla in tempo e in modo adeguato.

È possibile eseguire mobilizzazioni passive di flessione e di abduzione e ricorrere alla cyclette, ma senza resistenza e posizionando il sellino alto.

Lo stretching va eseguito in modo blando, senza superare la soglia del dolore, e può essere accompagnato da esercizi isometrici e da movimenti articolari attivi.

Esercizi per il conflitto femoro acetabolare

Una volta imparate le modalità di esercizio insieme al fisioterapista, il paziente può svolgere anche autonomamente alcuni esercizi, in particolare quelli in isometria.

Un primo esercizio prevede di contrarre i quadricipiti fino ad estendere completamente il ginocchio per circa cinque secondi per 10 volte.

Per il secondo esercizio, il paziente si sdraia in posizione prona e contrae i muscoli dei glutei, mantenendo la contrazione per cinque secondi e ripetendo 10 volte.

Il terzo esercizio viene eseguito distendendosi sul lato non operato, posizionando un cuscino tra le gambe e flettendo l’anca operata fino a 50/70 gradi, per poi portare il piede dell’arto operato dietro il ginocchio. Una volta stabilizzata la pelvi, portate il ginocchio dell’arto operato fino al lettino: lo stretching si avverte nella zona del gluteo e non deve mai causare dolore all’inguine.

Il quinto esercizio prevede di distendersi proni e portare il tallone ai glutei, mantenendo per circa 30 secondi ed eseguendo tre ripetizioni.

Dopo la prima settimana, potete provare la sequenza gatto-mucca, poggiando mani e ginocchia a terra e mantenendo la schiena in posizione neutra: inarcate il dorso e flettete le anche, per poi estendere le anche in avanti flettendo il dorso.

Un altro esercizio prevede di distendersi e portare il ginocchio del lato sano al petto, tenendo il ginocchio del lato operato steso.

Un esercizio a cui spesso si ricorre nel recupero post intervento all’anca è il movimento della farfalla: il paziente si sdraia tenendo l’anca flessa a 40 gradi e i piedi separati di circa 30 cm poggiati a terra. A questo punto, esegue l’abduzione e l’adduzione delle anche, fino a far toccare le ginocchia e a stringerle per 5 secondi, per poi riaprirle e tornare alla posizione di partenza.

Cura per lo stiramento muscolare

Come curare lo stiramento muscolare

Chi pratica sport ha dovuto fare i conti, almeno una volta nella vita, con lo stiramento muscolare. Si tratta di una lesione di lieve/media entità dovuta ad allungamento eccessivo delle fibre muscolari. I muscoli più colpiti sono, generalmente, quelli che interessano coscia e polpaccio ma lo stiramento può coinvolgere anche i muscoli di braccia, schiena, petto, addome, collo/spalle.

Dopo averti illustrato le cause e i sintomi dello stiramento (noto anche come elongazione), ti sveleremo come curare lo stiramento muscolare con le migliori terapie ed i trattamenti di Fisioterapia mirata.

Cause degli stiramenti muscolari

Sono diverse le cause ed i fattori di rischio che provocano lo stiramento muscolare soprattutto tra gli sportivi:

– fase di riscaldamento inadeguato prima di iniziare l’attività fisica;

– movimento scorretto, brusco o violento durante l’allenamento, scorretta dinamica nella corsa o nel salto;

– scarsa preparazione fisica non idonea al tipo di sforzo eseguito durante la pratica sportiva;

– sovraccarico funzionale e ripetute sollecitazioni;

– allenamento su terreno sconnesso con scarpe inadeguate;

– piccoli traumi alle articolazioni preesistenti;

– squilibri posturali e muscolari;

. mancanza di coordinazione;

– condizioni ambientali non ideali (sbalzi di temperatura, umidità);

– fase di recupero insufficiente tra un allenamento e l’altro.

Sintomi dello stiramento

Lo stiramento muscolare si riconosce dai seguenti sintomi:

– dolore localizzato improvviso, acuto ma sopportabile il più delle volte;

– spasmi;

edema e gonfiore;

– ematoma;

– infiammazione;

– indolenzimento;

– riduzione della forza;

– difficoltà a muoversi;

– rigidità muscolare e tensione.

Diagnosi di uno stiramento

Per escludere lesioni più gravi (strappo muscolare, distorsione, frattura), è necessario sottoporsi a visita specialistica.

Lo specialista (ortopedico, fisiatra) eseguirà la diagnosi tramite palpazione e verifica della funzionalità dell’arto. Per ulteriori accertamenti, il medico può richiedere un esame strumentale (ecografia muscolo/scheletrica) per indagare sulla struttura muscolare.

Cura

In caso di stiramento muscolare, è necessario seguire il protocollo RICE (immobilizzazione, ghiaccio per lenire dolore e infiammazione, compressione, elevazione per limitare l’ematoma) entro le 48-72 ore dall’infortunio.

Oltre al riposo, si raccomanda di evitare assolutamente movimenti di allungamento (stretching) che potrebbero portare ad una rottura delle fibre muscolari.

Se necessario, il medico prescriverà FANS (farmaci antiinfiammatori non steroidei) e miorilassanti in caso di tensione muscolare.

Stiramento muscolare: trattamenti di Fisioterapia mirata

Benefici della tecarterapia

Il Centro Ryakos pianifica un percorso terapeutico personalizzato dopo aver eseguito una prima visita gratuita con valutazione globale e distrettuale.

I trattamenti d’elezione per intervenire sullo stiramento muscolare sono strumentali:

Tecarterapia (Human Tecar), che riduce drasticamente dolore e infiammazione, favorisce il rilassamento muscolare stimolando il metabolismo cellulare, stimola i processi riparativi rigenerando i tessuti danneggiati;

Laser Tag ad Alta Potenza, che stimola l’attività metabolica cellulare e il drenaggio dei liquidi riducendo dolore e infiammazione.

Queste due terapie strumentali d’elezione riducono il dolore e l’infiammazione, favoriscono il drenaggio locale e permettono una ripresa rapida.

Risultano efficaci anche i trattamenti con Ultrasuoni, TENS, Onde d’Urto (che favoriscono la cicatrizzazione della lesione).

Per risolvere tensioni e rigidità muscolare, si consigliano i seguenti trattamenti:

– Massaggio terapeutico;

– Trattamento miofasciale;

– Kinesiotaping, bendaggio elastico che stimola il drenaggio e la vascolarizzazione del muscolo;

– Esercizi terapeutici mirati (stretching, esercizi isometrici, isotonici e dinamici, rinforzo muscolare, propriocettivi).

Metodo Mezieres per prevenire recidive di stiramenti

Se il fattore di rischio (o la causa) è uno squilibrio posturale e muscolare, al paziente verrà consigliato un percorso unico: la Rieducazione Posturale Globale con metodo Mezieres che ristabilisce l’equilibrio posturale di tutta la colonna vertebrale tramite allungamento graduale della catena muscolare posteriore.

Il recupero, generalmente, avviene nell’arco di 2-3 settimane nei casi più lievi, fino a 3-4 mesi nei casi più gravi.

E’ importante eseguire un controllo con ecografia per verificare l’avvenuta guarigione prima di riprendere le attività. Risulta quantomai necessario accertarsi che non vi siano complicazioni perché una lesione da stiramento non risolta potrebbe portare a recidive o lesioni muscolari più gravi.

Cicatrice Ipertrofica

Cicatrice ipertrofica: cause, cure mirate in Fisioterapia

Le cicatrici non sono tutte uguali: esiste quella normale, atrofica, il cheloide o la cicatrice ipertrofica. Quest’ultima si forma quando il processo di cicatrizzazione (tessuto fibroso prodotto dal corpo per rimediare ad una lesione) subisce alterazioni.

Il processo cicatriziale diventa anomalo e va a formare uno strato di pelle super sviluppato rispetto al tessuto circostante. Si tratta di una reazione anticorpale che infiiamma la zona colpita inducendo l’organismo a generare tessuto in abbondanza.

A distanza di qualche mese dalla lesione cutanea, a conclusione del processo riparativo, questo tipo di cicatrice si presenta spessa, dura e gonfia, rossa, talvolta associata a prurito, dolore o disturbi di sensibilità.

Scopri le cause e la cura migliore per risolvere le cicatrici disfunzionali grazie alla Fisioterapia d’elezione.

Cicatrice ipertrofica e cheloide: le differenze

cheloide

Spesso, la cicatrice ipertrofica viene confusa con il cheloide. Si tratta di patologie diverse, riconoscibli per via di alcune caratteristiche.

Le cicatrici ipertrofiche si sollevano restando, però, confinate all’area della lesione e possono regredire. Solitamente, questo tipo di cicatrice si forma nelle ferite che riguardano le articolazioni provocando talvolta dolore che limita i movimenti. E’ rossa, tende a sbiancare quando è compressa, è fastidiosa, può provocare prurito e presenta noduli.

Al contrario, il cheloide non regredisce spontaneamente: non si solleva soltanto ma si espande, si allarga. E’ il risultato di una sovrapproduzione di collagene in fase di cicatrizzazione. La pelle tende a guarire con esiti grinzosi. Si presenta calda, piena, arrossata, senza noduli.

Esiste anche la cosiddetta cicatrice atrofica, tipica di chi soffre di acne o di chi ha subito un trauma o un intervento chirurgico. In questo caso, la caratteristica è una depressione del tessuto.

Le tre fasi di cicatrizzazione

Il processo di cicatrizzazione avviene in tre fasi:

– Infiammatoria (fino al 5° giorno);

– Proliferativa (dal 5° giorno fino a 3-4 settimane complessive);

– Maturazione (fino a 2 o più anni).

Cause delle cicatrici ipertrofiche

I fattori di rischio legati alle cause responsabili di una cicatrice ipertrofica possono essere diversi:

– qualità della sutura chirurgica o supporti alternativi dopo il trauma o l’intervento;

– igiene della pelle prima, durante e dopo al fine di contrastare le infezioni;

– strofinamento della cute traumatizzata;

– direzione della sutura o lesione;

– ritardo di guarigione (ematoma, diastasi);

– infezione o infiammazione della sutura;

– sutura che crea tensione alla pelle.

Altri fattori di rischio dipendono da caratteristiche del paziente come la razza (africana e caraibica), la giovane età, l’area colpita (spalla, regione toracica, scapolare, ecc.). Può dipendere anche da fattori genetici, ad esempio in caso di precedenti cicatrici ipertrofiche o cheloidee.

Cicatrice: alterazioni del corpo e della postura

Migliora la Postura e elimina il dolore con il Metodo Mezieres

Il Centro Ryakos offre una prima visita gratuita con valutazione fisioterapica della cicatrice ipertrofica. E’ fondamentale per controllare lo stato della cicatrice e pianificare un trattamento fisioterapico personalizzato.

Valutare con cura e precisione una cicatrice ipertrofica, eventuali tensioni o aderenze è essenziale. Una cicatrice può alterare il corpo, in particolare il distretto colpito.

Spesso, vengono ignorate cicatrici che possono causare nel tempo problemi, alterazioni sul corpo e sulla postura. Ignorarle è un grosso errore. Il corpo può essere trazionato verso una cicatrice dolorosa, dopo un intervento. Una cicatrice anomala può creare problemi a livello nervoso, immunitario, endocrino, psichico, addirittura dolori in distretti lontani dalla cicatrice stessa.

La cicatrice è sostanzialmente un taglio non solo sulla pelle ma nel tessuto connettivo sottostante e va a ledere la fascia connettiva, strutture linfatiche, vascolari. Può creare aderenze interne anche gravi e dolorose.

Se hai una cicatrice anomala che ti crea probemi, contattaci per una valutazione.

Cicatrice ipertrofica: il miglior trattamento in Fisioterapia

La riparazione di una ferita è un processo che varia da paziente a paziente in quanto è influenzata da diversi fattori: genetici, etnici, cutanei, anagrafici o altri fattori legati, ad esempio, allo stile di vita (fumo, alcol) o all’attività lavorativa. Ecco perché è fondamentale eseguire una valutazione accurata che il centro Ryakos ti offre gratuitamente.

Una valutazione essenziale riguarda anche la maturità della cicatrice. Quando è ancora in fase attiva, è preferibile il trattamento conservativo, medico, non chirurgico.

Nella fase iniziale o di guarigione della ferita, è necessario somministrare antibiotici evitando di esporre la cute danneggiata al sole in quanto potrebbe macchiarsi e guarire più lentamente.

Intervenendo nella fase intermedia, quando la cicatrice è immatura e l’epitelio sovrastante è ancora intatto, il trattamento risulterà più efficace.

Nel nostro Centro, trattiamo la cicatrice ipertrofica con:

Terapia manuale con mobilizzazione fasciale e massaggi specifici per rilassare il tessuto attorno alla cicatrice;

Fibrolisi, terapia che serve a disgregare i depositi di materiale fibroso accumulati a seguito di ripetuti processi infiammatori. L’effetto meccanico di scollamento a livello miofasciale è in grado di separare ed allontanare la cicatrice. Lo scollamento avviene tra tessuto cicatriziale e tessuti sottocutanei;

Onde d’Urto ad azione antinfiammatoria, antidolorifica, antiedemigena e rigenerante. Favorendo la riparazione dei tessuti, viene applicata anche per trattare ferite, piaghe, cicatrici dolorose di varia natura. Migliora la microcircolazione, stimola cambiamenti biologici a livello cellulare e favorisce una nuova formazione di vasi sanguigni (neoangiogenesi) per la riparazione e rigenerazione anche di tessuti scarsamente vascolarizzati.

Uno studio che spiega l’efficacia delle pressioni meccaniche per risolvere le aderenze cicatriziali.

Riguardo al trattamento chirurgico ricorda che ad una cicatrice si sostituirà, comunque, una nuova cicatrice.

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